Come conciliare la fede in Dio che a tutto provvede con il dolore che tutto pervade? Come conciliare le parole del Cristo che afferma che "persino i capelli del vostro capo sono tutti numerati" (Mt 10,30) con la malattia, la fame, la povertà che affliggono l'uomo?
Non si mette vino nuovo in otri vecchi (cfr. Mt 9,17), dice il Cristo. L'otre vecchio che è l'uomo psichico, preda dell'interesse, della paura e del desiderio, deve essere gettato via per l'otre nuovo che è l'uomo spirituale il quale insieme allo stoico Epitteto dice: «Vuoi dunque qualcosa di diverso dal meglio? E cosa c'è di meglio di ciò che piace a Dio?». Che insieme a Meister Eckhart dice: «Appartiene all'essenza divina volere il meglio. Perciò quel che ti accade è per te la cosa migliore, e anche tu devi volerlo, e niente deve piacerti di più.» Che insieme al Cristo dice: «Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito»(Lc 23,46).
I falsi giudizi, le valutazioni fatte a partire dall'interesse, dalla paura e dal desiderio, scambiano per male ciò che male non è, e bene ciò che bene non è. Male non è la malattia, la povertà, la fame. La situazione più grave e difficile è anzi occasione propizia per esercitare il bene: la fiducia, la pazienza, la calma, la temperanza. Il bene non è la salute, perché la salute non è né bene né male, e il male non è la malattia, perché la malattia (e così la povertà, la fame eccetera) non è né bene né male. Male è rifiutare la malattia, maledicendo il cielo, l'altro o noi stessi, qualora la malattia incontri la nostra vita. Bene è accogliere la malattia, qualora la malattia incontri la nostra vita, nella superiore, stoica, cristica consapevolezza che tutto ciò che ci capita è perfettamente adatto a noi.